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Tesi
UNA FIRENZE CON LA NEVE
TORINO fu scoperta il 10 febbraio 2006 intorno alle otto di sera, ora
locale. Era un venerdì. Entrò nei tinelli di tutte le case del mondo
all'improvviso. Dal Texas alla Renania, la gente guardò lo schermo e vide
una piramide che aveva un'antenna in testa e una linea di grattacieli
bianchi sullo sfondo. Gli esploratori, abbastanza eccitati, chiamavano
quella piramide «Mole» e sostenevano che i grattacieli fossero montagne,
ma così vicine al tuo sguardo che ti sembrava di toccarle.
Per gli scienziati imbarcati a bordo della caravella americana Nbc, la
nuova terra emersa era un'autentica meraviglia.
Una Firenze spolverata di neve.
Decantavano le piazze e i palazzi, gli spettacoli e i cibi, con una
predilezione spiccata per un frutto a forma trapezoidale che gli indigeni
chiamavano all'incirca «giandiuiottou». Alcuni esploratori, inquadrati a
sorpresa dalle telecamere, ne conservavano imbarazzanti vestigia agli
angoli delle labbra. L'entusiasmo era generale, con qualche piccola
eccezione. Per esempio allo scienziato della «Washington Post» non andò
giù che la Firenze bianca avesse la neve negli occhi, ma non sotto le
scarpe, se si esclude qualche chiazza di ghiaccio nelle vie più ombrose
della periferia. E riferì indignato la scoperta ai suoi lettori. Riguardo
alla popolazione indigena, gli studiosi si dichiararono invece subito
d'accordo nel riscontrare una certa somiglianza con gli italiani. Persino
i francesi. Anche se l'assenza di pizza & mandolino disorientava i
componenti americani della spedizione, convinti che per essere
assimilabile all'Italia una persona dovesse avere i baffi molto scuri e
saper suonare una serenata o quantomeno pilotare una gondola. Dei
«piedmontesei», li chiamavano così, i navigatori arrivati da oltre oceano
lodavano il calore controllato, la cortesia non servile e la naturale
sobrietà. Nelle testimonianze visive che inviarono al loro Paese, fra
un'inquadratura della Mole e uno zoom sulle montagne, alcuni vecchi
«piedmontesei» rivelavano informazioni storiche strabilianti circa
l'esistenza a Torino di un'antica civiltà che avrebbe addirittura
contribuito a fare l'Italia senza peraltro riuscire a completare
l'impresa, rifacendo gli italiani.
Di questo mistero parleremo ancora. Adesso occorre rendere conto di come
ogni nazione del pianeta reagì alla Scoperta di Torino. I francesi,
naturalmente, sulle prime dissero che la conoscevano già. Poi accadde
qualcosa durante il rito di benvenuto, la cosiddetta Cerimonia Inaugurale.
Forse fu colomba della pace, o la Ferrari in testacoda, ma già il mattino
dopo l'umore al di là delle Alpi era cambiato nel profondo e per le strade
di Parigi la gente commentava estasiata: «Quelle soirée!», mentre alla
televisione i «chapeau!» si alternavano ai «supèr!» e da ogni bocca
uscivano elogi di Torino e della torinesità, dell'Italia e
dell'italianità, della Scuderià e di Tombà la Bombà.
Molto diverso fu l'atteggiamento dei tedeschi, che adottarono la nuova
terra emersa fin dal primo istante, dandole il nome di «Prussia italiana».
Lo stupore riposava più che altro nell'aggettivo, come sottolineavano i
dispacci degli esploratori, spiazzati dalla cortesia degli indigeni e
soprattutto dalla loro leggerezza. Non che ci voglia molto a essere più
leggeri dei tedeschi. Ma a colpirli, nei torinesi, era l'accostamento
della leggerezza all'efficienza e alla rapidità. Anche la Cerimonia, di
cui rimase a lungo traccia sui teleschermi appesi dentro i tram di
Berlino, era parsa loro assai rapida, efficiente e leggera. Fra i molti
sacerdoti del rito avevano apprezzato in particolare Sophia Loren e
Pavarotti, mentre l'esistenza di Baglioni, cioè di un cantante italiano
non sposato con Michelle Hunziker, era stata per ogni tedesco una fonte di
sorpresa. Gli inglesi usarono la loro arma migliore, l'ironia, e lodarono
Torino per parlare male di Parigi. La Bbc mandò in onda il filmato della
Scoperta, avvicinandole aggettivi come «stylish» e «classic», più che
altro per negarli alla cerimonia inaugurale dei Mondiali francesi 1998,
considerata volgare e un po' cafona. Poi in un soprassalto di umiltà
ammisero: «Abbiamo molto da imparare in vista delle Olimpiadi londinesi
del 2012». Nei giorni successivi le televisioni delle isole britanniche
proiettarono una rassegna di documentari scientifici sulla nuova terra
emersa. Pare che il pezzo forte fosse un sole in mezzo alle montagne
ripreso dalla pista del Lingotto. Ma a fare più scalpore fu la rivelazione
che secondo gli esploratori inglesi la città appena scoperta era molto più
bella di Milano. Milano si difese con la scelta del Basso Profilo
Permanente. I suoi giornali parlarono poco di Torino e quel poco per
trasformare i brufoli in ascessi: il Museo Egizio fece meno notizia di un
mucchietto di No Global e la coda per entrare allo Stadio Olimpico - oggi
noto come Stadio Grande Torino - diventò una ritirata di Russia. A
proposito: anche laggiù cambiò rapidamente l'atmosfera. All'inizio della
spedizione, i moscoviti al seguito lamentavano i disagi dell'impresa: a
contrariarli pare fosse soprattutto la mancanza di negozi sempre aperti,
quando è noto che in Russia funzionano 24 ore su 24: là dove ci sono,
naturalmente. Ma la Cerimonia compì il miracolo e da allora per tutti i
russi Torino fece rima con Cremlino, quanto a meraviglia. Della passione
bollente degli americani si è già detto. La Cerimonia ebbe su di loro un
effetto puramente confermativo. Fu quando i loro telegiornali insistettero
sul cosiddetto Pacchetto Patriottico: bandiera, inno, carabinieri. Dissero
che se Torino aveva fondato l'Italia, e malgrado l'assenza di mandolini
non c'era più ragione di dubitarne, quello era un Paese che si amava
davvero. Nei loro tinelli gli americani finsero di crederci, si pulirono
la bocca sporca di ketchup ed era tale l'emozione che con lo stesso
tovagliolo si asciugarono una lacrima
Lunedì, 22 Agosto, 2016 17:41
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